L’ANSIA CHE SALE È L’INCUBO DEL POVERO COLON: «IL DISAGIO PSICOLOGICO PER L’EPIDEMIA AGGRAVA LA SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE», SPIEGA IL DOTTOR LUCA DEL RE. I CONSIGLI? PASTI FREQUENTI E MOTO. LA TERAPIA? NON È UGUALE PER TUTTI.

Ha un temperamento altalenante il nostro colon. A volte è pigro, ma spesso è insofferente. Anzi: capriccioso.
Questa condizione, la celebre sindrome dell’intestino irritabile, coinvolge non pochi connazionali: ne soffre il 10-20 per cento della popolazione (soprattutto femminile). E poiché nella genesi del disturbo pesano non poco i cosiddetti fattori psico-sociali, ossia le ripercussioni sull’umore degli eventi stressanti, chissà quante persone avranno sperimentato un’impennata del disagio per colpa della minaccia incarnata dal coronavirus. «Ancora non conosciamo le cause precise della colite spastica, come una volta veniva chiamata la sindrome, ma di certo l’ansia gioca un ruolo importante», conferma il dottor Luca del Re, chirurgo colo-rettale e direttore della Chirurgia 2 all’Ospedale San Giuseppe – Gruppo MultiMedica di Milano. E allora ecco una prima verità: poiché i motivi alla base del problema sono tuttora poco chiari, non c’è una soluzione che possa dirsi universale.
«L’obiettivo è intervenire sui singoli sintomi e trasmettere al paziente qualche “trucco” per consentirgli di convivere con la sindrome serenamente».
Le intricate terminazioni nervose che si trovano nello spessore del tubo gastroenterico e che dialogano costantemente con il cervello risultano più reattive del normale, e così le mille circostanze della vita, dalle abitudini alimentari scorrette agli stress personali, possono produrre una risposta viscerale esagerata.
L’INTRICATO SISTEMA NERVOSO RISULTA PIÙ REATTIVO DEL NORMALE
Risultato: i regolari movimenti e la sensibilità del nostro intestino si alterano. Gonfiore della pancia, crampi addominali, stitichezza, diarrea: questi sono i disturbi ricorrenti, «ma la loro presenza ed entità variano da individuo a individuo e persino nella stessa persona in momenti diversi della sua esistenza», rimarca del Re.
Nel medesimo paziente, per capirsi, la stipsi può alternarsi con le scariche liquide, a periodi con fastidi molto intensi possono seguire altri in cui i sintomi si placano o scompaiono del tutto. Ma, come si diceva, i trucchi per gestire al meglio la situazione ci sono. Innanzitutto l’alimentazione. «Bisogna mangiare lentamente. Consumare i cibi alla svelta peggiora la sintomatologia. Inoltre i pasti devono essere leggeri e frequenti. Spesso mi chiedono: “Dottore, mi dia una dieta!”.
Non è facile rispondere, proprio perché il quadro generale è assai variabile da soggetto a soggetto. In linea di massima sono da cassare gli zuccheri che non possono essere digeriti o assorbiti bene e che quindi producono gas in eccesso. Per esempio, vanno evitati il latte, i formaggi molli, i ceci, le lenticchie, i fagioli e le fave, ma anche gli asparagi, i carciofi, il cavolfiore, la frutta secca e le prugne. Ecco perché potrebbe essere utile tenere un diario alimentare per qualche settimana: in tal modo è possibile identificare i cibi che scatenano i problemi. Limitando i nutrienti in questione, i disagi si attenuano almeno nei tre quarti dei casi».
Ben venga l’attività fisica moderata: per addomesticare l’intestino “irascibile” è sufficiente dedicare la fatidica mezz’ora quotidiana al cammino a passo sostenuto. Conta la salute del microbiota?
«Senz’altro. Salvaguardare la flora batterica intestinale è sempre cruciale, implicata com’è nel regolare le attività dell’intestino e considerando che si modifica anche a seconda di ciò che mangiamo.
Il ricorso ai probiotici, che sono ceppi batterici dotati di effetti positivi sul microbiota, è strategico nella cura della sindrome soprattutto quando è preminente la diarrea».
E in caso di stipsi, i lassativi aiutano?
«Per periodi brevi e di concerto col medico di famiglia. Ma, per carità, non trasformiamo il colon in un somarello che lavora solo a suon di bastonate!».
Come si arriva alla diagnosi? Ci si affida alla storia clinica del paziente e all’esame manuale dell’addome procedendo per esclusione, poiché non esiste un esame diagnostico che sia dirimente. «La colonscopia, che permette di perlustrare la cavità del viscere e di prelevare minuscoli campioni di tessuto da analizzare, viene in genere decisa per scartare il sospetto di una malattia organica, ossia “fisica”, del colon».
Per concludere: la sindrome dell’intestino irritabile è una disfunzione preoccupante?
«Nient’affatto. Però bisogna rendersi conto che si tratta di una condizione cronica, di lunga durata. La missione è far sì che il problema non comprometta la qualità della vita». Con la consapevolezza che la terapia non è come la legge: non è uguale per tutti.
di Edoardo Rosati
foto Dante Valenza