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Blog – Gruppo MultiMedica

Aneurisma dell’aorta addominale: quali trattamenti?

Aneurisma, dalla parola greca antica “ανεύρυσμα”, significa dilatazione di un’arteria. Per essere definito aneurisma, tale ampliamento deve essere uguale o maggiore del 50% del diametro normale dello stesso vaso.
La sede dove più facilmente si formano aneurismi è quella dell’aorta addominale sotto-renale (AAA), che per le sue caratteristiche anatomiche ed istologiche è più soggetta alla loro formazione.
La complicanza più temuta e letale è la rottura, tanto che l’aneurisma viene anche definito “silent killer” (il killer silenzioso). Nella maggior parte dei casi è completamente asintomatico ed è quindi molto importante eseguire uno screening nella popolazione, soprattutto nei pazienti maschi con età maggiore di 65 anni, con fattori di rischio per aterosclerosi (in particolare il fumo di sigaretta) e con provata familiarità per aneurismi. Il rischio di rottura aumenta con il diametro dell’AAA: 4.1% sotto i 5 cm, 6.6% tra 5 e 7 cm e 19% sopra i 7 cm.
L’attuale prevalenza negli uomini di 65 anni è dell’1.7% nei vari programmi di screening europei e sale al 3.3% se rivolto agli uomini da 65 a 74 anni. Al contrario, un programma negli Stati Uniti che offre solo screening ai fumatori, segnala una prevalenza superiore al 5%.
Un corrispondente calo del 20-50% negli ultimi due o tre decenni nei ricoveri ospedalieri per aneurismi rotti, nonostante l’invecchiamento della popolazione, conferma la bontà dei programmi di screening.
La prevalenza nelle donne è fino a quattro volte inferiore rispetto agli uomini.

Lo screening deve essere fatto mediante una visita dal chirurgo vascolare con l’esecuzione di un ecocolordoppler dell’aorta addominale; quest’ultimo è raccomandato sia per la diagnosi che per il follow-up di aneurismi dell’aorta addominale senza ancora indicazione chirurgica.
La soglia per considerare la riparazione elettiva dell’aneurisma aortico addominale è raccomandata ad un diametro di 5,5 cm; nelle donne, che hanno aorta nativa più piccola, può essere ammesso anche un diametro di 5 cm.
In pazienti con aneurismi aortici addominali l’angio-tomografia computerizzata (angioTC) è raccomandata per il processo decisionale e terapeutico, per la pianificazione del trattamento e in caso di diagnosi di rottura.
Quando si osserva una rapida crescita dell’aneurisma aortico addominale (+/- 1 cm/anno), il riferimento rapido a un chirurgo vascolare con imaging aggiuntivo deve essere subito preso in considerazione.
Nessuna terapia medica specifica ha dimostrato di rallentare il tasso di espansione di un aneurisma aortico addominale, e quindi è raccomandata solo la correzione dei fattori di rischio (smettere di fumare, il controllo della pressione sanguigna, le statine per la dislipidemia) e la terapia anti-aggregante piastrinica.

Ad oggi i trattamenti che tutte le linee guida nazionali e internazionali validano per gli aneurismi dell’aorta addominale sono 3: l’intervento chirurgico tradizionale (od “open repair” – OR), l’esclusione endovascolare (EVAR) e l’intervento chirurgico laparoscopico e/o robotico (sperimentale).
Il primo “open repair” (OR) è stato praticato da Dubost il 23.03.1951, ma la tecnica che viene universalmente eseguita è quella introdotta da Creech nel 1966, e cioè non la resezione dell’aneurisma come se fosse un tumore da asportare, ma l’endoaneurismectomia (ovvero l’apertura dell’aneurisma) con innesto protesico che viene cucito al suo interno. I materiali protesici si sono evoluti nel tempo per far fronte alla complicanza più temuta, cioè l’infezione; esistono quindi protesi impregnate di sostanze antisettiche. Oggi i programmi di gestione pre, intra e post-operatori, associati a tecniche chirurgiche mini-invasive, con percorsi anestesiologici, infermieristici e fisiatrici-riabilitativi adeguati (“fast-track”) permettono una ripresa rapida delle funzioni fisiologiche del paziente con un rapido recupero e conseguente dimissione al domicilio. La chirurgia tradizionale deve oggi diminuire al massimo la sua invasività e avere dei percorsi ben definiti di gestione del paziente affetto da AAA per poter ridurre al massimo le complicanze peri-operatorie e la mortalità.
Per ottenere una ulteriore riduzione della mortalità e della morbilità peri-operatoria, e inoltre un decorso post-operatorio ancora meno impegnativo, si è ormai diffusa la tecnica di esclusione dell’AAA mediante endoprotesi (EVAR), dopo circa 30 anni dal primo intervento eseguito da Parodi.
Sostanzialmente si tratta di posizionare uno stent rivestito da tessuto, endoprotesi appunto, che viene introdotto, attraverso le arterie femorali, all’interno dell’aneurisma per escluderlo dal circolo sanguigno.
L’EVAR veniva proposto inizialmente per pazienti con problemi di accesso chirurgico (addome ostile, re-interventi, obesità grave) e inoltre per quelli ad alto rischio (anziani, cardiopatici severi, affetti da insufficienza respiratoria grave) con una favorevole configurazione anatomica dell’aneurisma. L’estrema attenzione dell’industria a creare endoprotesi sempre più adatte alla cura di aneurismi con forme ed estensioni diverse, e sempre più complessi, ha fatto in modo che ad oggi la metodica EVAR abbia sorpassato quella OR nel numero di procedure eseguite in un anno al mondo. Le endoprotesi vengono generalmente impiantate attraverso l’arteria femorale sia con un isolamento chirurgico che percutaneamente. Questo approccio è in assoluto il meno invasivo, può essere eseguito in anestesia locale e con un ricovero molto breve.
Tutti i trials clinici di confronto tra “EVAR” ed “OR” definiscono il vantaggio del primo nella mortalità post-operatoria a 30 giorni, alla luce però di una più alta possibilità di re-interventi a medio e lungo termine. Questi sono dovuti alla persistenza di flusso ematico nello spazio compreso tra l’endoprotesi e la parete aortica (il cosiddetto endoleak). La persistenza di flusso può comportare la continua espansione dell’aneurisma con conseguente necessità di ulteriori trattamenti endovascolari, nonostante l’avvenuta correzione, per evitare la rottura dell’AAA. L’endoleak rappresenta attualmente il punto debole delle procedure endovascolari addominali. La sua incidenza è molto variabile nelle casistiche pubblicate (0-44%). Questo richiede pertanto un accurato e periodico follow-up per monitorare possibili evoluzioni dell’aneurisma nel post-operatorio.
La riparazione dell’aneurisma aortico addominale per via laparoscopica e/o robotica non è raccomandata nella pratica clinica di routine, al di fuori di centri altamente specializzati o di trials clinici autorizzati (rischio significativamente più elevato di morte ed eventi avversi rispetto alla chirurgia aperta convenzionale).
Alla luce di quanto detto, si ritiene che la chirurgia open debba essere proposta ai pazienti relativamente giovani con un rischio operatorio accettabile, mentre l’EVAR può essere riservato a tutti gli altri pazienti, soprattutto se con una morfologia dell’AAA favorevole per questo tipo di trattamento.

Dr. Massimiliano Martelli, Direttore dell’Unità di Chirurgia Vascolare, IRCCS MultiMedica

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