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Blog – Gruppo MultiMedica

Ipertiroidismo: alterazioni funzionali della tiroide

L’ipertiroidismo è una condizione clinica caratterizzata da un aumento della sintesi e della secrezione dell’ormone tiroideo, prodotto dalla ghiandola tiroidea. La prevalenza dell’ipertiroidismo è dello 0,8% in Europa e dell’1,3% negli USA, decisamente meno frequente rispetto alla sua controparte che determina una riduzione dei livelli di ormoni tiroidei nel sangue, ovvero l’ipotiroidismo, con una prevalenza nel sesso femminile pari al 7,7% e nel sesso maschile pari all’1,3%. Proprio come l’ipotiroidismo, la sua prevalenza aumenta con l’età ed è più frequente nelle donne.
L’eccesso di ormoni tiroidei colpisce diversi organi e apparati. I sintomi più comunemente riportati, che dovrebbero porre il sospetto diagnostico, sono: palpitazioni, tachicardia, alvo diarroico, disturbi del sonno, perdita di peso, affaticamento e dispnea da sforzo, tremori (soprattutto distali), ansia e/o aumentata irritabilità, intolleranza al calore, sudorazione e alterazione del senso della sete. È interessante notare come, mano a mano che aumenta l’età, si osserva una minor frequenza dei sintomi tipici, fatta eccezione per la perdita di peso e la dispnea da sforzo, mentre i fumatori hanno un rischio aumentato di sviluppare la sintomatologia classica.

La diagnosi e la terapia dell’ipertiroidismo sono importanti in quanto tale condizione, se protratta, si associa ad un’aumentata mortalità cardio-cerebrovascolare, ad un aumentato rischio di osteoporosi e anomalie del sistema riproduttivo, come ginecomastia negli uomini, diminuzione della fertilità ed irregolarità mestruali nelle donne.
La causa più comune di ipertiroidismo è la malattia di Graves. Tale patologia si sviluppa in seguito alla perdita di immunotolleranza e allo sviluppo di autoanticorpi (anticorpi anti-recettore del TSH o TRAb) che determinano una continua stimolazione sulla funzione ghiandolare.
In circa il 25% dei pazienti con malattia di Graves possono associarsi segni di interessamento oculare, che rientrano nella definizione di “orbitopatia di Graves”, e che concorrono a determinare la classica espressione “ad occhi sbarrati” di questi pazienti.
I fattori di rischio per lo sviluppo della malattia di Graves includono lo stress, il fumo, il sesso femminile, infezioni, carenza di vitamina D e selenio, l’utilizzo di alcuni farmaci, in particolare alcuni generalmente impiegati per il trattamento di neoplasie. Inoltre, proprio come per l’ipotiroidismo autoimmune o tiroidite di Hashimoto, esiste anche per il morbo di Graves una nota predisposizione genetica.
Altre cause meno comuni di ipertiroidismo sono l’adenoma tossico solitario e il gozzo multinodulare tossico, in cui uno o più noduli tiroidei diventano autonomi e iperfunzionanti rispetto al tessuto ghiandolare sano. Questi due quadri clinici rappresentano circa il 50% dei casi di ipertiroidismo nelle aree carenti di iodio. Queste condizioni, soprattutto se i noduli in questione sono particolarmente grandi, possono portare a sintomi di natura compressiva sulle strutture adiacenti, ossia esofago e/o trachea con conseguente difficoltà alla deglutizione e/o alla respirazione in posizione supina (ortopnea).
Inoltre, tra le cause meno comuni, bisogna prestare molta attenzione ad alcuni trattamenti cosmetici, soprattutto creme snellenti o oli rassodanti, in quanto possono contenere estratti di sali marini o alghe, particolarmente ricchi di iodio, o addirittura contenere tiroxina. Tali prodotti possono determinare un incremento dei livelli di ormone tiroideo nel sangue, con un quadro clinico anche sintomatico, che generalmente regredisce dopo la sospensione di tali prodotti.
La tiroide può anche essere interessata da stati infettivi, soprattutto virali, che al contrario delle patologie sopracitate possono associarsi tipicamente a dolore al collo, e richiedere una terapia cortisonica della durata di più di un mese per ridurre lo stato infiammatorio.  È interessante notare come tra i virus in grado di attaccare la tiroide sia stato recentemente identificato anche il Sars-COV-2.

La diagnosi di ipertiroidismo è prevalentemente clinica, ovvero basata sulla presenza di segni e sintomi suggestivi, e laboratoristica. Il primo esame indicato è il dosaggio del TSH. Se basso, le concentrazioni di ormoni tiroidei (FT3 e FT4) dovrebbero essere misurate per distinguere tra ipertiroidismo subclinico (con normali livelli di ormoni circolanti) e ipertiroidismo conclamato (con aumento degli ormoni tiroidei), che richiede un trattamento più rapido. Il dosaggio degli anticorpi anti-recettore del TSH (TRAb) permette di escludere la forma autoimmune, ovvero il morbo di Graves. L’ecografia tiroidea e la scintigrafia tiroidea invece sono le indagini radiologiche più comunemente utilizzate, che permettono la diagnosi differenziale tra le varie forme di ipertiroidismo. Nei casi caratterizzati da dubbio diagnostico (ad esempio storia clinica e quadro ormonale discordanti) è utile la misurazione del metabolismo basale attraverso metodologie quali la calorimetria indiretta, che permette di quantificare il consumo di ossigeno che correla direttamente all’attività tiroidea.

Per quanto riguarda la terapia dell’ipertiroidismo il tipo di approccio varia in base alla sua causa. Esistono tre opzioni: i farmaci antitiroidei (metimazolo e il propiltiuracile), l’ablazione con iodio radioattivo e la chirurgia. L’utilizzo dei farmaci non rappresenta una terapia definitiva, ma permette di controllare i livelli di ormoni tiroidei nel sangue e i sintomi conseguenti al loro eccessivo rilascio. Questi impediscono la produzione degli ormoni tiroidei, bloccando l’attivazione biologica delle molecole di iodio (elemento imprescindibile per la sintesi di tali ormoni). Tuttavia, questi farmaci non assicurano una risoluzione completa della malattia. Infatti, in circa il 40% dei casi il morbo di Graves tende a recidivare entro il primo anno dalla loro sospensione e non sono liberi da effetti collaterali: nel 5% dei pazienti trattati possono comparire prurito, dolori articolari, disturbi gastrointestinali, e più raramente (0.1-0.3%) riduzione dei globuli bianchi, tossicità epatica e fenomeni vasculitici.

Per concludere, consiglierei ai nostri lettori di rivolgersi al proprio Medico Curante in presenza dei sintomi tipici sopracitati, soprattutto se associati a familiarità per patologie tiroidee e soprattutto se tali sintomi sono presenti in individui di sesso femminile.  Si suggerisce di rivolgersi ad un Endocrinologo in presenza di esami del sangue e/o radiologici suggestivi, dopo aver escluso altre condizioni morbose come causa della sintomatologia presente.

Prof. Livio Luzi, Direttore del Dipartimento di Endocrinologia, Nutrizione e Malattie Metaboliche, Gruppo MultiMedica/Università degli Studi di Milano
Dr. Daniele Cannavaro, Specializzando in Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, Università degli Studi di Milano.                                                                                             

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