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Blog – Gruppo MultiMedica

Malattia di Parkinson: certezze e scoperte

La malattia di Parkinson è una malattia relativamente comune dell’invecchiamento cerebrale che origina da una complessa interazione genetica ed ambientale. Colpisce lo 0,3% della popolazione generale e il 3% degli ultraottantenni.

Sintomi

Il quadro motorio tipico della malattia è stato descritto 200 anni fa dal dr James Parkinson ed è caratterizzato da tremore, rigidità, rallentamento dei movimenti (bradicinesia) ed instabilità posturale.

Negli ultimi anni sono andati evidenziandosi sempre più importanti sintomi non motori della malattia di Parkinson, a livello vegetativo (stipsi, ipotensione ortostatica, disfunzioni urinarie e sessuali, scialorrea) e sensoriale (disturbi olfattivi, visivi, dolori muscolo-scheletrici). Anche il sonno è spesso disturbato (insonnia notturna ed ipersonnia diurna, disturbo della fase REM con attività motoria durante il sogno), come pure l’affettività e l’umore (depressione), il comportamento (compulsioni, ludomania e disturbi psicotici) e le funzioni cognitive (una vera e propria demenza è presente nella maggioranza dei casi dopo 10 anni di malattia).

Questa estrema variabilità di sintomi, non necessariamente tutti evidenti e gravi nello stesso paziente, si spiega con la stessa patogenesi della malattia, che riconosce una degenerazione della alfa-sinucleina, proteina fondamentale dei processi cellulari delle cellule dopaminergiche, che progressivamente vanno morendo. Le cellule dopaminergiche, cioè funzionanti con la dopamina, sono localizzate prevalentemente nella “sostanza nera”, piccolo nucleo alla base del cervello, e la loro morte spiega i sintomi motori, ma queste cellule si trovano anche nel sistema nervoso vegetativo e in altre strutture cerebrali, il che spiega tutti i sintomi non-motori.

Cause

La causa e le modalità di questo processo degenerativo sono tuttora oggetto di ampie discussioni, mentre l’epidemiologia è in grado di fornirci alcune evidenze.
L’età avanzata, il sesso maschile, l’etnia (più colpiti sono i Caucasici) e diversi fattori ambientali (esposizione a pesticidi o solventi, lavori agricoli, farmaci neurolettici) sono riconosciuti fattori di rischio, accanto a più rare mutazioni o polimorfismi genetici che sembrano predisporre alla malattia.

Occorre ricordare che alcune caratteristiche motorie della malattia di Parkinson fanno parte dell’invecchiamento fisiologico, come un rallentamento generale dei movimenti, una certa instabilità posturale con tendenza alla flessione in avanti del busto nella deambulazione, un modesto tremore, senza che si possa parlare propriamente di malattia di Parkinson. D’altra parte anche processi neoplastici, vascolari, infiammatori o tossici possono determinare un quadro motorio simile alla Malattia di Parkinson , ma definibili come “parkinsonismi secondari”.

Terapie

Se tuttora non esistono criteri diagnostici predittivi dello sviluppo preclinico della malattia, non esistono purtroppo terapie in grado di arrestare il processo degenerativo neuronale. Esistono invece da almeno 50 anni terapie che sono in grado di migliorare i sintomi motori. Si tratta di fornire dall’esterno la dopamina sempre più deficitaria nel cervello: queste terapie sembrarono miracolose ai primi medici che le usarono e i risultati sono descritti nei libro “Risvegli” di Oliver Sacks. I pazienti costretti a letto da anni da una rara forma infettiva di Malattia di Parkinson, si “risvegliavano” e potevano riprendere a muoversi autonomamente. Questo effetto positivo si osserva anche nella Malattia di Parkinson, ma purtroppo dura solo qualche anno perché la malattia degenerativa prosegue e la carenza di dopamina si complica per una serie di complesse reazioni patologiche.

Ricerca

Le caratteristiche neuropatologiche della Malattia di Parkinson, e cioè la degenerazione prevalentemente in una ristretta area alla base del cervello, hanno consentito la sperimentazione con relativa facilità e sicurezza di tecniche non farmacologiche, quali il trapianto di cellule staminali e la stimolazione elettrica
Le cellule staminali trapiantate nella sostanza nera in via di degenerazione possono trasformarsi in cellule dopaminergiche e in un certo numero di casi suppliscono a quelle morte. L’applicazione clinica di questa metodologia è ancora sperimentale e sottoposta a discussione etica e scientifica.

La stimolazione elettrica delle regioni cerebrali profonde, attualmente limitata a pazienti molto selezionati, sembra più efficace del trapianto di cellule staminali, anche se mancano osservazioni a lunga scadenza e non mancano effetti collaterali.

 

In conclusione la malattia di Parkinson resta una malattia neurodegenerativa non guaribile né arrestabile e verosimilmente questa situazione durerà molto a lungo. Esistono però molti provvedimenti medici efficaci nel migliorare per molti anni la qualità della vita di questi pazienti, associati a ovvie misure igieniche quali il movimento, la corretta alimentazione, la correzione di alte eventuali patologie e l’intensità dei rapporti sociali anche favoriti dalle numerose Associazioni di malati.

E’ importante infine una precoce ed accurata diagnosi, tuttora fondata quasi esclusivamente sulla clinica, al fine di fornire adeguate informazioni prognostiche al paziente e per evitare l’uso di questi farmaci in pazienti che potrebbero trarne solo effetti negativi, non essendo parkinsoniani

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