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Blog – Gruppo MultiMedica

Miocardite: c’è un legame con il Covid-19?

La malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) è caratterizzata tipicamente da sintomi e segni di infezione delle vie respiratorie sino alla polmonite, tuttavia le manifestazioni cardiache non sono infrequenti.

Alcuni pazienti sono asintomatici per sintomi cardio-specifici ma evidenziano alterazioni elettrocardiografiche e/o elevazione della troponina cardiaca sierica, biomarcatore espressione di danno del muscolo cardiaco, altri mostrano anomalie subcliniche all’ecocardiogramma e ai test di imaging cardiaco. Talora possono verificarsi aritmie cardiache asintomatiche o sintomatiche e una quota di pazienti presenta invece patologie cardiache sintomatiche, con evidente danno miocardico.

Le patologie cardiache osservate in corso di COVID-19 sono la miocardite, l’ischemia miocardica acuta da patologia macro o microvascolare del circolo coronarico, la cardiomiopatia da stress (Sindrome di Takotsubo), l’insufficienza cardiaca acuta, il cuore polmonare acuto da embolia polmonare, la sindrome da distress respiratorio e danno miocardico. Nelle forme più gravi di COVID-19 con disfunzione multiorgano per sindrome da risposta infiammatoria sistemica, il danno miocardico è in genere presente.

In generale, la miocardite è una malattia infiammatoria del muscolo cardiaco causata da molteplici condizioni infettive e non. Può manifestarsi come una patologia acuta, subacuta o cronica con un coinvolgimento focale o diffuso del miocardio. Anche alcune cardiomiopatie ereditarie (ad esempio, malattia di Fabry e cardiomiopatia ventricolare destra aritmogena) possono presentarsi clinicamente con le caratteristiche di una miocardite acuta o cronica.

Le manifestazioni cliniche della miocardite sono assai variabili, lo spettro comprende casi che decorrono in modo asintomatico sino alla presenza di astenia, dolore toracico, aritmie, scompenso cardiaco di grado variabile e, nei casi più gravi, shock cardiogenico e morte improvvisa. Non è disponibile uno studio epidemiologico di popolazione che abbia definito e descritto la frequenza dei sintomi di presentazione della miocardite acuta, subacuta e cronica. Ciò è dovuto in parte all’assenza di un test diagnostico non invasivo sicuro e sensibile in grado di confermare la diagnosi, costituendo un vero e proprio “gold standard” diagnostico. In tal senso l’esame diagnostico più promettente è rappresentato dalla risonanza magnetica nucleare cardiaca.
La miocardite può quindi essere sospettata in pazienti con o senza segni e sintomi cardiaci che mostrino un aumento dei biomarcatori cardiaci (per esempio, troponina), alterazioni elettrocardiografiche indicative di danno miocardico acuto, aritmia o anomalie globali o regionali della funzione sistolica ventricolare, in particolare se il quadro clinico è di nuovo riscontro e non altrimenti giustificabile.

Dall’inizio della pandemia, nella letteratura scientifica sono stati segnalati casi di miocardite in pazienti affetti da COVID-19, inoltre la miocardite è stata riconosciuta come causa di morte in alcuni pazienti con COVID-19. Da un punto di vista fisiopatologico, si ritiene che la miocardite da COVID-19 possa in parte essere conseguenza di un danno diretto causato dal virus e, in parte, essere mediata dalla risposta immunitaria del paziente stesso.
La prevalenza della miocardite tra i pazienti con COVID-19 non è chiara, ciò a causa della mancanza di percorsi diagnostici specifici nelle prime segnalazioni di tale problematica clinica. Alcune osservazioni stimano la miocardite come causa del 7% delle morti, tuttavia è molto difficile valutare la frequenza della miocardite nel COVID-19. Anche nei pazienti con COVID-19 le manifestazioni cliniche della miocardite sono estremamente variabili e per altro di non facile distinzione rispetto ai consueti sintomi dell’infezione, della polmonite e dell’insufficienza respiratoria che caratterizzano buona parte dei pazienti ospedalizzati. Nei casi più gravi l’insorgenza di grave disfunzione ventricolare entro 2-3 settimane dall’inizio della malattia può indurre a sospettare un quadro di miocardite fulminante.

In ogni caso, volendo dare una dimensione della frequenza del danno miocardico nell’ambito del COVID-19, un incremento dell’enzima cardiaco troponina è stato riscontrato nel 7-36% dei pazienti ospedalizzati; in altre parole possiamo dire che di 4-5 pazienti ospedalizzati per COVID-19, circa un soggetto presenta un danno miocardico, associato o meno a manifestazioni cliniche specifiche.

Il percorso diagnostico della miocardite da COVID-19 e il suo trattamento non si differenziano da quello della miocardite “di per sé”, non essendo disponibili dati specifici in proposito.
Da un punto di vista diagnostico, un ruolo importante è svolto dai biomarcatori cardiaci, dalla valutazione degli indici infiammatori, dell’ECG, delle tecniche di imaging cardiovascolare non invasivo di primo livello (ecocardiografia), secondo livello (risonanza magnetica nucleare cardiaca, angio-TC coronarica e cardiovascolare), dell’imaging invasivo (coronarografia) sino all’esecuzione, in casi specifici, di biopsia endomiocardica.
Sebbene la sola biopsia endomiocardica rappresenti il test diagnostico di certezza, esso è non solo invasivo ma le stesse società scientifiche ne riconoscono i limiti, in particolare per quanto riguarda la possibilità di accesso e la possibilità di risultati falsi negativi.
È per altro importante sottolineare come l’esecuzione di test diagnostici complessi sia particolarmente difficile da un punto di vista organizzativo, ciò per prevenire sia il contagio degli operatori sia la diffusione del virus in ambienti diversi dai reparti COVID-19.

Il trattamento della miocardite si basa sul trattamento delle sue conseguenze più che della malattia in sé: esso è quindi rivolto alla terapia dell’insufficienza cardiaca, sino all’utilizzo dei dispositivi meccanici di supporto al circolo nei casi più gravi, delle aritmie e, in alcuni casi è previsto il trattamento anticoagulante.
Al momento, l’attenzione continua ad essere focalizzata sulla fase acuta del COVID-19, sia nella sua forma più tipica (polmonite ed insufficienza respiratoria) sia per quanto riguarda il coinvolgimento di altri organi ed apparati, nel caso specifico il muscolo cardiaco.

Le ricadute a lungo termine di miocarditi decorse in modo subclinico o misconosciuto sono quindi del tutto ignote. La maggior parte dei pazienti con COVID-19 è inoltre trattata in ambito extra-ospedaliero e probabilmente è improbabile che si trovi ad eseguire un ECG o un test di imaging cardiaco.
La presenza a distanza di esiti miocarditici in pazienti con COVID-19 è pertanto del tutto sconosciuta. Anche per tale ragione abbiamo avviato presso il nostro IRCCS un programma di screening cardiologico in pazienti ospedalizzati e guariti da COVID-19 ad 1 anno dalla dimissione ospedaliera.

Prof. Roberto Pedretti, Direttore dell’UO di Cardiologia, IRCCS MultiMedica

 

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